Bianco e Nero, l’Italia di Peeter Veiderma

31.01.2025

L'artista poliedrico Peeter Veiderma nasce a Stoccolma nel 1949 da genitori estoni. All'inizio degli anni 90 si stabilisce in campagna nelle Marche, a un' ora dal Conero. Quest'anno, con Gangemi editore, è uscito il suo primo libro fotografico "Bianco e nero. Una vita in bianco e nero".


Sei conosciuto come fotografo, documentarista e giornalista. In Svezia hai studiato antropologia culturale, storia dell'arte e architettura. In che anno ti sei stabilito nelle Marche?

In modo permanente nel 1993.

Parli benissimo l'estone ma sei nato in Svezia da genitori estoni che nel 1944 sono fuggiti dall'invasione sovietica. Hai avuto una balia estone?

Veramente no, all'epoca era presente a Stoccolma una scuola elementare di lingua estone, dove lo svedese veniva considerato ed insegnato come lingua straniera. A casa si parlava estone mentre con tutti gli amici svedesi si parlava svedese.

Nella foto Peeter Veiderma. Foto: Triin Maasik

A Stoccolma hai lavorato per 15 anni presso Dagens Nyheter, il giornale più importante del paese. Tuo padre era un noto dirigente assicurativo. Dopotutto perché hai scelto di trasferirti in Italia?

Con i miei genitori, fin da quando ero piccolo, siamo sempre stati in vacanza in Italia. Per questo motivo ho deciso di comprare una seconda casa qui, una cosiddetta casa vacanza. Dopo la nascita di mio figlio Aleksander, abbiamo deciso di stabilirci definitivamente, anche perchè in Svezia eravamo comunque degli esuli senza stretti legami familiari.

Perchè le Marche?

Nel 1971 ho fatto un viaggio da Sarajevo a Bari in moto. All'epoca non c'era internet, avevo incollato la cartina Esso, che mi era costata 100 lire, sul serbatoio della benzina e giravo così. Il Gargano mi piacque molto ma non mi piacevano le spiagge sabbiose, pensai di andare al Conero. Sulla cartina avevo notato un paesino di nome Sirolo, c'era un comodo campeggio e una bella spiaggia rocciosa, mi piacque subito. Per i successivi 18 anni andai lì con la mia tenda, inizialmente da solo, poi con mia moglie. Finché non decidemmo che la tenda era bella ma avere una casa sarebbe stato ancora più bello. La dolce collina delle Marche ci conquistò.

Sei andato a visitare l'Estonia per la prima volta nel 1978, due anni prima delle proteste degli studenti e della "Lettera dei 40", scritta da intellettuali contro la russificazione. Che aria si respirava?

Nel '78 vi erano due modi per visitare l'Estonia. La prima opzione era di seguire una visita guidata organizzata da un ente sovietico. La seconda opzione, ovvero quella da me scelta, era quella di visitare parenti che erano rimasti in Estonia dopo l'occupazione sovietica, ed era legata a delle condizioni molto stringenti. Bisognava innanzitutto avere un invito approvato dagli organi di governo e poi veniva imposto un raggio di 5 chilometri dall'abitazione in cui veniva dichiarata la permanenza. Entro quel raggio la circolazione era relativamente libera anche se era evidente il fatto che ogni spostamento venisse strettamente sorvegliato dalle autorità. Per tornare al discorso della lettera dei 40 o alle proteste studentesche non se ne percepiva minimamente la presenza.

Però tuo padre non è mai tornato in Estonia?

No, perchè essendo un bravo scrittore e redattore di articoli e documenti che favorivano il pensiero indipendentista estone, non era benvisto dal partito, e correva il rischio di essere arrestato e deportato con conseguenze anche per i familiari.

Da adolescente hai attraversato l'Europa in autostop…

E' vero. Quando avevo 14 anni, io e mia sorella, di un anno più grande di me, andammo in giro in autostop. Conoscevamo tutte le lingue, io il tedesco, lei parlava benissimo il francese. Francia, Monte Carlo…

Già allora avevi con te la macchina fotografica?
Si, anzi per la precisione erano due corpi macchina. Una per le foto in bianco e nero e una per le foto a colori. Ancora oggi conservo alcuni dei negativi che risalgono a quando avevo 14 anni.

È nata lì la passione per la fotografia?

Non so dirti un episodio in particolare che ha fatto nascere questa passione se non la volontà di raccontare e tramandare i ricordi e i viaggi sia a chi non era in grado di viaggiare prima ma poi anche alle nuove generazioni per raccontare come era l'Europa.

Come fotografo hai collaborato anche con il produttore cinematografico Kristian Taska, tuo nipote, e il produttore finlandese Ilkka Matila.

Ho avuto occasione negli anni di collaborare a diversi progetti cinematografici come Still Photographer, tra questi vorrei ricordare l'ultimo in uscita Never Alone (Ei koskaan yksin) di Klaus Härö sulla seconda guerra mondiale in Finlandia.

Non torni spesso in Estonia ma hai delle collaborazioni attive. Sei stato il primo della tua famiglia che ha trovato la forza di visitare la famigerata prigione Patarei di Tallinn dove i sovietici hanno tenuto i loro prigionieri. Tra i prigionieri c'era anche tuo nonno Aleksander Veiderma, arrestato e poi deportato in un gulag. Le tue fotografie su Patarei sono state pubblicate?

Si, sono disponibili. Nel 2010 ho collaborato con il museo dell'occupazione a Tallinn e con l'ente che gestiva le visite alla prigione. Ci sono entrato. La mia visita fu sconvolgente, è un posto pieno di violenza e dolore. Mi sentivo terribilmente in colpa per il fatto che io ero cresciuto nell'Ovest ma loro erano rimasti là. Ho pianto. Dopo la visita ho stampato dei libretti con le fotografie che avevo scattato là e ho mandato tutto in Estonia. Sono tuttora disponibili e visionabili in bianco e nero sul mio sito web.

Questo gennaio hai pubblicato un libro fotografico in bianco e nero. Di che cosa racconta il libro?

Le prime foto sono state scattate negli anni '70 in Svezia. Tante fotografie vengono dal periodo in cui da giovane giravo in Europa in moto oppure, anni dopo e insieme ai miei amici, con l'amatissima Chevrolet Coupé. Amavamo la cultura, giravamo per tutti i musei, per i posti poco conosciuti. Ero io a portare la compagnia in giro per i luoghi che avevo precedentemente individuato: Bruxelles, Glasgow, Istria, Istanbul. Tantissime foto sono dell'Italia, la Puglia, la Liguria, la Sicilia che amo molto, e le stesse Marche. Volevo raccontare un pezzo della mia storia, volevo lasciare un segno, sono le immagini che mi identificano e mi rappresentano.

Tuo figlio Aleksander parla estone?

Sì, gliel'ho insegnato io. Lo parla fluentemente. Perlomeno secondo il ministero degli esteri estone, che gli ha dato anche la possibilità di svolgere un tirocinio presso la loro sede a Tallinn.

Sei forse uno degli estoni che hanno vissuto più a lungo in Italia. Conosci qualcuno che abbia vissuto in Italia più di te?

La comunità estone in Italia è relativamente piccola e spesso frammentata. Ammetto di non conoscere estoni che ci abbiano vissuto in modo permanente più a lungo di me.

Quando tornerai in Estonia la prossima volta?

In primavera. Vado a trovare i miei amici e parenti.


Katrin Veiksaar

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